giovedì 25 ottobre 2012

Tornare.



Ne parlo dopo cinque mesi.
Cinque mesi da quando sono tornata. 
E non dico che sembra ieri. Sento che sono passati esattamente cinque mesi da quando sono atterrata a Roma, per ritornare alla vita reale, quella che, se ne avessi avuto la possibilità, probabilmente non avrei scelto. 

Ma partiamo dall'inizio.

Aprile 2011
Arriva una telefonata, mi dicono "Hai la possibilità di partire per Parigi, 9 mesi. Che faccio, ti confermo?". 

Ecco com'è iniziato tutto. Tralascio la parte del fomento. Anche quella della paura di partire,di lasciare tutti. Insomma, la parte dei pianti e delle promesse, del "ti chiamo tutti i giorni" e del "mi mancherai". 

Fatto sta che,cazzo si, sono partita. E sono arrivata dopo 14 ore di viaggio. Ah giusto, perché ho avuto la brillante idea di partire in treno, che m'ha detto la testa in quel momento, credetemi, non lo so.

Lo vedo. Il cartello Paris Bercy. Che probabilmente è l'equivalente di Roma Tiburtina.




Arrivo in una giornata di sole, 2 valigie e una mappa della metro. 
Dopo quasi un anno parto in una giornata di sole, 7 valigie e le lacrime agli occhi.



E ogni giorno era una scoperta, una novità. Lo Starbucks sotto casa. Si è vero, il caffè farà anche cagare, ma ci vantiamo tanto del nostro italiano che in verità vedevo solamente italiani sorseggiare il bibitone. Aaah, il mito dell'America. E poi i muffin al cioccolato erano qualcosa di fantastico. Poi c'era la parte del leggere il giornale in metro che ti fa sentire un pò come in quei film americani, dove tutti girano con la ventiquattrore e guardano l'orologio e pensano "merda, oggi mi licenziano sicuro".

In quella città tutti corrono, tutti vanno di fretta. Anche il barbone sembra essere in ritardo, tutto si muove più velocemente. E alla fine anche io  mi sono omologata. 
Ok, intendiamoci. Io sono comunque in ritardo. Sempre. Ma a Parigi mi sembrava di non essere fuori luogo, ecco. 

Alla fine passano nove mesi, troppo in fretta se ci ripenso adesso. 

E da quando sono tornata ancora non trovo le parole adatta per descrivere quel tipo di vita, perché non era solamente bello e fico e fantastico. Era qualcosa di più,qualcosa in cui ti immergi in modo incondizionato. E mi manca, mi manca da morire.

Insomma, la crisi post-ritorno ha colpito anche me. Ma in una forma talmente acuta che ancora ne parlo come fossi ancora lì.  
Anche perché tornare e riabituarsi alla vita che hai lasciato non è roba da niente. Fondamentalmente perché un ritorno non è mai facile, un ritorno significa pensare di ritrovare tutto come hai lasciato. E invece no.  
Ecco è un pò come alzarsi a metà film al cinema per andare al bagno. Rientri e chiedi cosa è successo, l'amico ti fa "zitto, fammi seguire". Nessuno ti spiega cosa ti sei perso. 

 E poi tu sei cambiato. Dentro di te niente è rimasto come prima.

Al momento del ritorno vivi quindi in un grande caos. "Dove sono?" "Ma cosa ci faccio qui?" pensavo continuamente. Certo, lo sapevo dall'inizio che sarebbe tutto finito, prima o poi. Ma quando trovi il tuo equilibrio, ovunque tu sia, all'idea che dovrai ripartire non ti ci abitui. Quel giorno era sempre lontano. Poi è arrivato e io non ho potuto fare altro che caricare sette valigie su un taxi, salire su un aereo e guardare quella città dal finestrino e pensare "mi mancherai". 

"Il posto giusto è quello in cui non ti chiedi che ora è" ho letto qualche giorno fa. E ora che ci penso..a Parigi non portavo mai l'orologio. 








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